Il tempo di una fine non ha misura.
Il mio l’ho allargato per anni, tirandolo quì e là, tra sorrisi incollati con le puntine e biscotti con la glassa, a forma di cuore.
Il tuo stava tra il primo ed il secondo, tra il sale, il fischio dell’arbitro e quelle nuvole stupefacenti che non vedevi.
Il tempo di una fine non si misura.
Un anno, due, tre, quattro. Un anno e un giorno, due, tre, quattro. O forse 10 anni, tre ore e 10 secondi. 10 secondi, un tempo inaccettabilmente lungo.
Il tuo pareva stare per aria a gridare offeso, sospeso, in stallo.
Il tempo di una fine non si pesa.
Eppure il mio pesava di chiavi dimenticate, vocabolari spessi di parole da riscoprire e coperte in cui stare avvolta per non sentire freddo.
Il tuo pesava di silenzi e di strati e strati di arroganza sopra cui ti arroccavi.
Il tempo di una fine non ha una forma ma il mio ha quella di una panchina, di una pista da sci, dei 12centimetri dei miei tacchi, di una porta chiusa, ancora.
La forma della mia schiena e dei miei fianchi, in fondo alle scale mentre vado via.
Il tempo di una fine culla il tempo che ci resta, lo lib(e)ra.
(Dalì è un viaggio che cambia assieme a noi, il mio è passato attraverso le sue tele partendo, in un gelido novembre 2004, da Venezia – Palazzo Grassi)
Dalì, meraviglia delle meraviglie, follia e razionalità… il tempo, questa costruzione surrealista, qualcosa come l’incipit vertiginoso di un racconto africano: “al tempo di quando non c’era il tempo”!
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Incipit meraviglioso davvero Giò, rende il senso delle mie righe.
Il tempo non ha misura pure se siamo in grado di scandirne uno “ufficiale”, l'”altro” tempo fa come gli pare.
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e il tempo da dopo aver sceso le scale ad oggi che forma ha avuto? Perché in fondo quello fino a lì è solo sabbia in fondo ad una clessidra.
E, tanto per saperlo, come si sta dopo una intera giornata sopra un tacco 12?
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Bella domanda Amanda…
Il tempo, uscita dal portone, con figli e bagagli ha la forma in continua formazione delle onde che si infrangono sulla battigia.
Poco, tanto. Boh! … in movimento, libero!
Ps: sui tacchi allora ci stavo come uno scienziatopazzo che armeggia tra alambicchi strampalati 😉
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Se mi curo del tempo mi beffa, mentre lo penso se ne scappa via pesante. A giorni me lo porto sulla schiena, a giorni me lo cavalco. Una cosa è sicura, quello passato non è mai buttato via, ci vuole il tempo che ci vuole… per dar valore al tempo.
p.s. Dobbiamo raccontarci un po di cose, non ti pare?!
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Bellezza che sei…
Eccome! Dobbiamo vederci, anche beffando il tempo!
Stasera? Ti chiamo!
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Io passo.
Il tempo.
La fine(?).
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Io ultimamente ti leggo e passo.
Bene (anche) così.
🙂
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Quando scrivo son come quelli seduti fuori dal bar con il giornale ed un prosecco; ci sono quelli che passano e danno un’occhiata, quelli che passano e salutano e quelli che si fermano a bere. Nessuno è meglio dell’altro.
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Io credo ti debba leggere di più, invece. Ci vorrà tempo, immagino. E se lo immagino, c’è.
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Intanto é assai bello che tu abbia immaginato di trovare il tempo per scrivere e l’abbia poi fatto.
Benvenuto tra i miei sottotitoli, Flampur 😉
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